A Roma sta ritornando l’arte contemporanea
«La città, lì sopra, cucinava la rabbia nel proprio stesso traffico, negli autobus in avaria già alle nove del mattino. Gli avanbracci scandivano gli insulti dai finestrini aperti. A bordo strada i vigili compilavano multe che nessuno avrebbe mai pagato». Nelle primissime righe del recente La città dei vivi, Nicola Lagioia ci consegna un’immagine – ricorrente per tutto il resto del libro – respingente, soffocante, ai limiti dell’apocalittico, tuttavia familiare per chi vive Roma d’abitudine. Quella raccontata da Lagioia è una città malconcia, che schiuma rancore e frustrazione: la Roma che, nel 2016, venne travolta da alluvioni, invasioni di gabbiani, topi e cinghiali, sacchi della spazzatura abbandonati ovunque; la Roma turbata dall’efferato omicidio del giovane Luca Varani; la Roma ferita dall’inchiesta “Mafia Capitale”.
A quasi un lustro di distanza da quell’annus horribilis le cose non sembrano granché cambiate. Roma mostra ancora tutte le sue fragilità alla vigilia di un turno elettorale incerto e combattuto, decisivo per le sorti future della città. Durante un anno sciagurato come il 2020, però, la città ha tenuto parzialmente botta. Forse perché la mannaia del Covid-19 è stata meno implacabile; la socialità non è stata bruscamente troncata come invece accaduto in altre “zone rosse”. L’umore rimane basso – come potrebbe essere altrimenti in un momento come questo? – ma intanto in questi mesi Roma sembra essersi scrollata temporaneamente di dosso un complesso d’inferiorità.
C’è un ambito nel quale le cose sembrano essersi messe particolarmente bene: l’arte contemporanea. Soltanto qualche anno fa la situazione era questa: il Macro, il museo d’arte contemporanea, senza una vera direzione dal 2013 al 2019; l’edizione 2012 della Quadriennale addirittura cancellata per mancanza fondi (lasciando, per la prima volta dal 1931, un buco di otto anni); l’esaurimento di alcune iniziative come la fiera The Road to Contemporary Art o il fastoso Premio Terna; in generale, un senso diffuso di abbandono e disinteresse per il settore. Da circa un biennio, al di là degli slogan politici, il vento sembra essere cambiato per davvero. A tutti i livelli, da quello istituzionale fino a quello più underground.
Museo per l’Immaginazione Preventiva è il programma del nuovo direttore artistico del MACRO Luca Lo Pinto: un singolo progetto espositivo concepito per svilupparsi in modo organico fino alla fine del 2022
Non è facile stabilire in quale successione si siano manifestati gli eventi, né quali siano stati i fattori scatenanti di questa parziale rinascita. La nomina di Cesare Pietroiusti a Presidente dell’Azienda Speciale Palaexpo nell’estate del 2018 potrebbe essere uno di questi. Artista visivo e animatore della scena romana, Pietroiusti ha dato un’impronta multidisciplinare e di respiro internazionale alla programmazione del Palazzo delle Esposizioni (memorabili la mostra dedicata al film Manifesto di Julian Rosefeldt – quello con Cate Blanchett a interpretare 13 ruoli diversi, per intenderci –, così come la retrospettiva dedicata a Jim Dine), imprimendo un cambio di marcia anche agli altri spazi espositivi – il Macro e il Mattatoio – che fanno capo al Palaexpo. Per il Macro, dopo l’esperimento altalenante di Macro Asilo, è stato scelto un nuovo curatore, Luca Lo Pinto, che, nonostante la frenata generale dei musei, nel 2020 ha già lasciato intravedere un potenziale notevole; per il secondo si è optato invece per una duplice destinazione d’uso, visto che la sede, nel quartiere Testaccio, ospita sia mostre, sia un corso di alta formazione nell’ambito delle performing arts; alla direzione, lo spagnolo (ma romano d’adozione) Angel Moya Garcia.
Il Palazzo delle Esposizioni ospita in questi mesi Fuori, la XVII edizione della Quadriennale (al momento in stand-by a causa della chiusura dei musei), curata in tandem da Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol. Un mandato di tre anni, nel corso del quale Cosulich e Collicelli Cagol hanno lavorato non solo alla (bella e ambiziosa) mostra che conclude il loro percorso, ma a tutta una serie di iniziative volte al sostegno e alla promozione dell’arte italiana, con particolare attenzione agli under 35. In realtà è tutta l’istituzione Quadriennale a essersi scrollata di dosso un po’ di polvere, con la nomina nel 2019 di un nuovo CdA, nel quale, oltre al Presidente Umberto Croppi e Fabio Mongelli, spiccano le presenze di Lorenzo Gigotti, fondatore della casa editrice Nero, e Valentina Tanni, docente e saggista decisamente sensibile alle culture del web. Si tratta di nomine recenti, ma sulla carta capaci di portare ossigeno nelle stanze della Quadriennale, che – a proposito di architettura – nel 2023 troverà una nuova casa negli imponenti spazi dell’Arsenale Clementino di Porta Portese (4 mila metri quadrii).
Tra le iniziative che meritano una segnalazione c’è anche CASTRO, che sta per Contemporary Art STudios Rome. Nato nel 2018 da un’idea dell’artista Gaia di Lorenzo, trent’anni ancora da compiere e formazione londinese, CASTRO mette a disposizione di artisti italiani e internazionali degli studi nel cuore di Trastevere (in un distretto densamente popolata di gallerie: T293, la sede romana di Gavin Brown – ora assorbita da Gladstone – Frutta, Ada). Gli artisti, tutti giovanissimi e selezionati da una giuria internazionale, hanno l’opportunità di restare a Roma per quattro mesi; alcuni decidono poi di fermarsi, integrandosi e dando linfa alla scena culturale cittadina. Il progetto prevede anche un public program particolarmente intenso, con incontri, workshop e animate discussioni pubbliche aperte a tutti gli artisti che vogliano mostrare il proprio lavoro (i cosiddetti “crits” di matrice anglosassone).
Ci sono poi le realtà indipendenti, per lo più gestite da artisti, nate e cresciute negli ultimi anni. Le loro sedi operative si trovano in aree non centrali se non addirittura periferiche: Studioli in un indefinibile complesso di garçonnières a Tor di Quinto; Villa Lontana tra le signorili ville di via Cassia; Numero Cromaticoyhh a San Lorenzo; Baleno al Pigneto. A queste, si aggiungono i tre “Spazio”, sempre gestiti da artisti, a metà tra studi e luoghi espositivi: Spazio Y al Quadraro, Spazio in Situ a Tor Bella Monaca, Spazio Mensa all’ex Cartiera Salaria, oltre al nascente Post Ex a Centocelle. Diversi tra loro per tipo di programmazione e obiettivi, oltre a una certa marginalità (la distanza mescolata a pigrizia, a Roma, forma un mix letale: “verrei volentieri, ma come faccio ad arrivare fin laggiù”, si sente spesso dire), tali realtà condividono un carattere eccentrico e sperimentale. Danno alla scena artistica romana una vitalità sotterranea ma pulsante, divisa tra aperture internazionali e attenzione al contesto locale, tra desiderio di apertura e volontà nemmeno troppo celata di rimanere nicchia. Insomma, ce n’è per tutti i gusti.
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