Design Economy 2020: «L’Italia un leader mondiale, il design aumenta la competitività del sistema produttivo»
Italia tra i leader europei del Design, settore a cavallo tra creazione artistica e produzione industriale di massa. Infatti se il comparto del design in Europa conta un numero di circa 217mila imprese, l’Italia è il Paese con il maggior numero di aziende in quest’area (34.000 mila), che offrono occupazione a 64.551 lavoratori e generano un valore aggiunto superiore a 3 mld di euro. Il nostro Paese contribuisce infatti al 14,8% del giro d’affari a livello Ue, dietro a Regno Unito e Germania. Tuttavia il 53,4% del nostro tessuto imprenditoriale è frammentato tra liberi professionisti e piccolissime imprese. Queste le principali indicazioni che emergono dal report «Design Economy 2020», elaborato da Fondazione Symbola, Deloitte Private e POLI.design (da quest’anno con il supporto di ADI, CUID e Comieco e il Patrocinio del Ministero degli Affari Esteri). Obiettivo dello studio è di accrescere la consapevolezza del valore del design per la competitività del sistema produttivo nazionale. Le imprese che nel 2019 hanno investito in design e green economy risultano più competitive in termini di fatturato, addetti ed export.
Il livello di frammentazione spiega come mai, nonostante un primato in termini di numero di aziende, Germania e Regno Unito registrino un livello di occupazione e un volume d’affari superiori a quelli italiani. Infatti, il complesso dei Paesi UE registra un volume di vendite pari a 27,5 miliardi di euro, e l’Italia ne alimenta da sola il 14,8%, in terza posizione dietro al Regno Unito (24,5%) e alla Germania (16,4%), ma largamente davanti a Francia (9,2%) e Spagna (4,6%). I settori industriali italiani che fanno maggiore ricorso al Design sono: legno arredo, abbigliamento e automotive. In Italia, il divario tra microimprese e grandi aziende è profondo: liberi professionisti e microimprese (meno di 100mila euro di fatturato) incidono ancora per oltre la metà dell’occupazione (53,4%), mentre le imprese con fatturato superiore a 5 milioni di euro hanno un’incidenza occupazionale dell’8,4%. Nel nostro Paese, pertanto, la maggior parte delle imprese si collocano nei segmenti piccola e micro impresa.
Il legame tra Made in Italy e Design
I risultati del report Fondazione Symbola, Deloitte Private e POLI.design confermano un forte legame territoriale tra Design e le filiere del Made in Italy, con forti ricadute in termini di competitività, innovazione e cultura d’impresa. Le Marche sono la regione italiana con i massimi i livelli di specializzazione del design nelle filiere dell’arredamento e della calzatura. Seguono Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Veneto, in cui sono presenti moltissime aziende del design legate al Fashion, alla meccanica, fino alla ceramica e al mobile. In generale, la distribuzione delle imprese appare concentrata a favore dei sistemi metropolitani: Milano da sola assorbe una quota di imprese pari al 14,5% del totale nazionale, mentre Roma è la seconda provincia in graduatoria (6,5%); segue Torino, terza, con una quota del 5,2%. Le prime quattro province metropolitane in graduatoria aggregano circa il 36% della ricchezza prodotta dal design in Italia, attirando la maggior parte delle imprese e dei professionisti del design. Milano si conferma capitale del Design.
La principale capitale del design italiano è Milano: il capoluogo lombardo è capace di concentrare il 18,3% dell’output totale del settore sul territorio nazionale, mentre Torino e Roma, rispettivamente seconda e terza, incidono per l’8,0% e per il 5,3%. Anche sul fronte occupazione Milano conta circa il 14% del totale degli addetti. Il primato di Milano non è casuale: qui hanno sede due delle più importanti collezioni del design al mondo, quella della Triennale di Milano e quella del Museo del Compasso d’oro promosso dall’ADI, che verrà inaugurata entro il 2020. Milano è anche sede dal 1961 del Salone del Mobile e del Fuorisalone, una delle più grandi manifestazioni al mondo dedicate al design. In seconda posizione figura Torino, che nel 2014 ha ricevuto dall’Unesco la nomina di Città creativa UNESCO per il Design. Sul territorio torinese spiccano manifestazioni come Torino City of Design e la presenza di grandi firme del design dell’automobile. Cresce poi l’interesse di Roma per il Design anche grazie al legame con il settore della moda e le iniziative promosse da Altaroma e Fashionweek romana.
L’impatto del Covid-19 sull’operatività dei designer Intervistati sulle conseguenze dell’emergenza sanitaria Covid-19 sulla loro operatività, il 45% dei liberi professionisti ha dichiarato di non aver mai interrotto la propria attività, in quanto fortemente orientata all’impiego delle tecnologie digitali. Tuttavia, quasi tutti i designer intervistati hanno riscontrato difficoltà economiche legate a una diminuzione della domanda (68,2%) e problemi di liquidità (48,3%). L’emergenza Covid-19 ha avuto un impatto sui volumi di fatturato per il 39,7% dei progettisti, con il 23,8% dei rispondenti che segnalano un calo superiore alla metà dei ricavi allo stesso periodo dell’anno precedente. La disruption causata dalla diffusione del Covid-19 può però tradursi in opportunità: le stringenti norme di distanziamento sociale e i limiti alla mobilità per contenere il rischio contagio, potrebbero indurre alla riprogettazione di spazi pubblici e privati in numerosi ambiti: ristorazione (16,6%), pubblica amministrazione (11,9%), home working (7,3%) e sanità (6,0%).
Design e sostenibilità motore della crescita Da un’indagine campionaria di Fondazione Symbola ed Unioncamere su circa 3mila imprese manifatturiere, è emersa una stretta correlazione tra investimenti in Design e crescita lungo tre direttrici: fatturato, addetti, export. Il ruolo del design come motore della competitività, confermato dalle aziende che utilizzano il design intervistate nella presente edizione dello studio Design Economy, appare ancor più marcato in presenza di un’attenzione aziendale alla sostenibilità ambientale: le imprese green e design oriented mostrano differenziali di performance significativi rispetto alle altre aziende. Il vantaggio a favore delle aziende che investono simultaneamente in tecnologie green e design, rispetto al resto del campione, raggiunge i 22,6 punti percentuali in termini di addetti (38,6% contro 16,0%), 25,1 punti in termini di fatturato (48,0% contro 22,9%) e 13,5 punti in relazione alle esportazioni (38,6% contro 25,1%).
Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, ha commentato: «Un’economia più a misura d’uomo ha bisogno di un design che incrocia bellezza, tecnologia, empatia ed assume la frontiera della green economy e dell’economia circolare. Di questo design l’Italia è già protagonista e può per questo candidarsi ad essere punto di riferimento per il nuovo Bauhaus per il Green New Deal proposto dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Avanza in Europa e nel mondo un’economia orientata alla sostenibilità che non lascia indietro nessuno ed è per questo più capace di affrontare il futuro. E rende le imprese più competitive». Ernesto Lanzillo, Deloitte Private Leader per l’Italia, ha commentato: «Il design rappresenta un motore di innovazione e competitività per le imprese italiane, specialmente in ambiti in cui è necessario disegnare nuovi orizzonti, come per la sostenibilità, e in contesti di profonde trasformazioni come per la pandemia, poiché rende le imprese più resilienti, in grado di adattarsi dinamicamente al cambiamento e di ri-immaginare il proprio posto nel mercato. È quindi necessario accrescere nell’industria la consapevolezza del valore strategico del design, non solo legato ad aspetti di ideazione e presentazione del prodotto o del servizio, ma a quelli di evoluzione continua delle funzioni e strategie aziendali, che differenziano il Made in Italy nei mercati internazionali e contribuiscono alla resilienza delle micro e piccole medie imprese in un contesto socio economico di continuo cambiamento.
Francesco Zurlo, Presidente di POLI.design e Preside Vicario presso la Scuola del Design, Dipartimento di Design, Politecnico di Milano: «È sempre più evidente il processo di apprendimento delle imprese sul ruolo del design per rendere competitivo e sostenibile il sistema paese. Al di là della tradizionale idea del design – ovvero il prodotto bello e ben fatto – ci accorgiamo che sempre di più lo si considera un vero e proprio asset strategico. È infatti in atto una progressiva integrazione di skills e capacità proprie del design nelle organizzazioni, nelle istituzioni, nella società, con l’avvio di un dialogo diretto con i decision maker di questo sistema. Il design scala l’organigramma, oggi, perché mette al centro la persona per spingersi e spingere – in modo responsabile – verso una dimensione più “nature” centred, attenta non solo all’utente, ma anche alla società, alla cultura, all’economia e all’ambiente». La formazione italiana in ambito Design Pur con molte differenze e caratterizzazioni, il sistema formativo italiano del Design è un’eccellenza che conta ben 18 Università, 15 Accademie delle Belle Arti, 15 Accademie Legalmente Riconosciute, e 11 Istituti privati autorizzati a rilasciare titoli AFAM e 6 ISIA, per un totale di 242 corsi di studio distribuiti in vari livelli formativi e diverse aree di specializzazione (Product, Communication, Fashion, Space). Nel complesso vengono formati 8.244 designer di cui 3.822 in Università e 4.422 unità del comparto AFAM. Si può osservare come un numero sempre maggiore di studenti scelga le Accademie Legalmente Riconosciute e gli Istituti privati autorizzati al rilascio di titoli AFAM. La maggior parte dei corsi di laurea triennale sono a numero programmato, con un numero di iscrizioni al test di ingresso di circa 13.000 domande, che supera di quattro volte i circa 3.300 posti disponibili. Il moltiplicarsi dell’offerta formativa e l’alto numero di richieste di iscrizione rispetto ai posti disponibili e il continuo estendersi degli ambiti professionali del designer, se da un lato decretano il successo dell’offerta formativa nazionale, dall’altro rendono necessaria una riflessione su confini, specificità e qualità della didattica. Circa il 70% degli studenti ha conseguito una laurea triennale o un diploma accademico di I livello, mentre il 21,3% ha approfondito gli studi conseguendo una laurea magistrale o un diploma accademico di II livello, infine solo l’8,7% ha perfezionato la propria formazione con master di I o II livello. La peculiarità del design italiano è la capacità di creare sinergie con le esigenze produttive dei territori: mentre l’offerta formativa del triennio è sostanzialmente omogenea in tutti gli atenei italiani, i corsi di laurea magistrale offrono invece una marcata specializzazione legata alla vocazione produttiva delle diverse aree geografiche. La regione più attiva nella formazione di designer è la Lombardia, che assorbe da sola quasi il 49,5% del capitale umano uscente dal sistema formativo italiano per il mondo del design. In particolare, Milano si conferma la città italiana del design con 3.675 laureati/diplomati. A seguire Piemonte (9,8%) e Lazio (8,3%) ribadiscono il legame esistente tra la formazione, il design e le esigenze produttive delle regioni, trainate dalle città di Torino e Roma. A livello di singolo istituto, il Politecnico di Milano si colloca saldamente in testa alla classifica per numero di laureati e si conferma un’eccellenza in ambito internazionale, consolidando con successo il 3° posto in Europa e il 6° nel mondo nella classifica QS World University Rankings by Subject per il design, prima fra le università pubbliche. Questo grazie anche al suo sistema Design, che include POLI.design, la Scuola del Design e il Dipartimento di Design – un aggregato di risorse, competenze, strutture e laboratori, tra i più importanti al mondo. A seguire Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) e IED mantengono un importante ruolo esercitato nella formazione di designer.
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