L’ira degli artigiani: “Stop all’asporto alle 18? Governo ossessionato dall’aperitivo e nemico delle imprese”
De Santis: “In questi mesi questa opzione è stata come un farmaco compassionevole: se ce la tolgono, ci ammazzano”
“Un governo ossessionato dall’aperitivo, ma nemico delle imprese”. Il mondo dell’artigianato torinese e piemontese non trattiene la rabbia e la frustrazione di fronte ai nuovi divieti da dpcm che presto potrebbero interessare le attività a contatto col pubblico, in particolare lo stop all’asporto dopo le 18.
“Se l’ipotesi dovesse essere confermata, per le attività artigiane della ristorazione del Piemonte non resterà che recitare il “de profundis” – dice Dino De Santis, presidente di Confartigianato Torino -. Si tratta di circa 5.000 imprese artigiane del Piemonte che svolgono attività nel settore della ristorazione e che danno lavoro a circa 15mila addetti“.
In particolare, numeri alla mano, nella nostra regione si contano 1.200 tra pasticcerie e gelaterie artigiane, 704 rosticcerie artigiane (400 a Torino) e 3.040 pizzerie artigiane (1475 solo a Torino).
“Per molte di queste imprese – commenta Diana De Benedetti, referente alimentari di Confartigianato Torino – il 16 gennaio, se dovesse venire confermato il blocco dell’asporto, segnerebbe una data di non ritorno. Le imprese sono stremate dai tre mesi di chiusura nel primo lockdown, dagli investimenti fatti per riaprire in sicurezza questa estate, dalle riaperture a singhiozzo, dalla incertezza delle regole, dal dover saltellare tra caselle rosse, arancioni e gialle, dal susseguirsi di DPCM emanati all’ultimo minuto. Il mondo della ristorazione per organizzare il proprio lavoro ha bisogno di certezze, di regole chiare, pianificate con una tempistica a lungo termine, in quanto ha a che fare con acquisti deteriorabili, non può più procedere con stop and go. In questo contesto il divieto dell’asporto dopo le 18 non è una misura accettabile“.
Asporto e consegna a domicilio sono stati in questi mesi, dicono ancora dall’associazione di categoria, “una sorta di terapia compassionevole, una flebo nel braccio di un morituro. I nostri ristoratori a pranzo non fanno quasi nulla, molti uffici e luoghi di lavoro sono chiusi, e senza neppure l’asporto sarà ancor più difficile pagare i costi fissi di gestione, le bollette e le tasse. E non si venga a dire, “sì, però avrete i ristori”. L’asporto è un servizio importante anche per la situazione sanitaria in quanto diluisce il flusso delle persone che, diversamente, potrebbero assembrarsi nei supermercati”.
E proprio sui ristori, la ferita resta aperta. “I nostri associati – sottolinea Dino De Santis – hanno ricevuto due volte 600 euro, poi una cifra pari al 30% del fatturato di aprile 2019 e poi il nulla. Se il problema è l’assembramento fuori dai locali, siamo noi i primi a chiedere che venga intensificata la vigilanza, ma non è possibile affrontare il problema con la chiusura delle attività. Il Governo sembra ossessionato dagli aperitivi e dalla movida! Una visione miope, nemica di chi fa impresa. Non sono neppure stati capaci di fare una campagna informativa rivolta ai più giovani, per far capire l’importanza di mascherine e distanziamenti! Se si continuerà così, alla fine della pandemia non rimarrà altro che piangere tutte le imprese che non ce l’hanno fatta, e tutti gli imprenditori che hanno detto basta”.
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